La grande bellezza vale un Oscar
Il tormento interiore di un uomo che vive apparentemente appagato nella mondanità, nella quale si è adagiato per molti anni dopo la stesura di un unico capolavoro. Lo specchio di una meschina realtà, di gente che vive nel lusso e che dopo aver sperimentato tutto continua la propria miserabile vita tra una festa e un altra nel lusso sfrenato, inutile e fine a se stesso. I loro visi infelici sono la prova provata di una vita vuota e sterile che non sa più dove attingere un brandello di felicità. Quest’uomo apparentemente sorridente e sempre tra la gente è profondamente solo e completamente insoddisfatto della propria esistenza, ma non è morto, continua a meravigliarsi e cerca un qualcosa tra le bellezze della città eterna. Magistrale la scena della suora che si reca nell’esteta e poi insieme a un uomo in un locale di lusso, il regista avrebbe potuto farle cambiare d’abito, almeno nell’incontro, ma deliberatamente l’ha fatta andare in scena vestita da suora per dissacrare la religione. Si pone in età adulta dei problemi esistenziali, ma non quelli tipici dell’adolescenza, questi li ha superati, ma proprio nella valutazione di come vive realmente nella sua esistenza la vita. Magari a vent’anni aveva conosciuto la bellezza ed è riuscito a scrivere un capolavoro, poi si è abbandonato all’apparire perdendone il senso. Questo vuol solo dire che apparire non è sinonimo di bellezza pur cercandola attraverso un esteta. La bellezza è altro. Lui che ha cercato la grande bellezza nella bellezza estetica, la trova nelle parole di una religiosa vecchia e brutta che gliela indica nella ricerca delle sue radici e la trova nel ricordo del passato che è andato perduto nella miserabile vita che si conduce fatta solo di rumore e chiacchiericcio. Decisamente meritava gli oscar che ha preso.
E’ un film da rivedere come le canzoni che non hanno tempo e che mai ti risulteranno trapassate.